ISCHIA IL CASTELLO ARAGONESE
Dopo aver lasciato alle spalle il borgo di Ischia Ponte, si arriva al ponte che congiunge l’ isola maggiore con il Castello. Il ponte, lungo circa 250 mt, fu costruito in lego e pietra per la prima volta da Alfonso I D’ Aragona, detto il magnanimo e più volte rimaneggiato. Un’ ultima radicale ristrutturazione del ponte si ebbe verso la fine del 1800.
Dopo aver costeggiato la piazzola semicircolare, si sale verso l’ ingresso del Castello, giungendo così alla prima porta, quella principale, al termine di una piccola salita in muratura, che ha sostituito nel tempo il ponte levatoio. Alla destra emergono dal mare i resti di un pontile, mai terminato, che secondo le intenzioni di Alfonso D’ Aragona doveva servire da molo per un porto mai realizzato.
A sinistra si ammirano, ancora possenti, le mura della prima batteria sul mare, nel cui perimetro ora viene svolta l’ attività di American Bar. La prima porta ( detta “ del Martello” ) era munita di campanello di allarme, che risuonava per chiamare i contadini sparsi per i campi dell’ isola maggiore a rifugiarsi all’ interno delle solide mura, nei momenti di pericolo, come nel caso di scorrerie di pirati o saraceni. Sul pilastro sinistro della porta d’ ingresso, l’ iscrizione marmorea ricorda i martiri napoletani incarcerati nelle prigioni politiche del Castello dal regime borbonico per le loro idee in favore dell‘ Unità d’ Italia; sull’ architrave della stessa porta è esistita fino al 1660 la lapide che re Ferdinando D’ Aragona fece apporre nell’ inverno del 1495 a perenne testimonianza del vile tradimento perpetrato dal governatore militare del Castello, tale Giusto o Giustino della Candida, che si era rifiutato di accoglierlo, la cui testa mozzata fu collocata nelle vicinanze in una buca chiusa con pietra, sulla quale vennero scolpite le insegne aragonesi.
Dopo circa 50 mt si giunge alla seconda porta che immette al corridoio coperto, dal quale prendeva accesso la caserma per la guarnigione incaricata della difesa e delle manovre di apertura e chiusura del ponte levatoio. La terza porta immette alla galleria, superba nella sua maestosità, fatta scavare da Alfonso D’ Aragona, il quale aveva un affetto particolare per gli ischitani.
L’ importante galleria, alta in alcuni tratti 15 mt e larga in media 6 mt, era tanto comoda ai tempi in cui il Castello era una cittadella fortificata da consentire a 2 carri di salire e scendere agevolmente nello stesso momento; la pavimentazione formata da quadroni in basalto vulcanico consentiva una comoda cavalcatura.
L’ arco scavato nella pietra, all’ inizio della prima curva a destra, oltre ad offrire luce e aria, incornicia un panorama delle isole di Vivara e di Procida davvero suggestivo.
Il nuovo tratto di galleria immette nella seconda batteria sulla destra, anch’ essa un tempo munita di cannoni e di caserma. Un poco più avanti sulla sinistra ci si imbatte nella cappella già dedicata a San Leonardo e ora a San Giovan Giuseppe della Croce, al secolo Carlo Gaetano Calosirto ( 1654 – 1734 ), frate alcantarino ed unico Santo nativo di Ischia. Proseguendo nella salita si incontra la porta saracena, dove un tempo al lato sinistro esisteva incassato nel muro lo stemma di marmo della famiglia d’ Avalos, davanti al quale montava il picchetto di guardia.
Il portone seguente, quinto ed ultimo ingresso realizzato da Alfonso il Magnanimo, immette in una piccola piazzola all’ aperto. L’ antica Piazza d’ Armi cinquecentesca, dalla quale si dipartono il viottolo che conduce all’ ex Episcopo, la via d’ accesso alla fortificazione e la stradina che conduce allo sterrato semicircolare, ove erano infissi mattoni a terra per l’uso dei cannoni. Lungo la stessa stradina sono ancora visibili fornelli utilizzati per infuocare le palle di pietra. Appena girato l’angolo che costeggia l’ abside dell’ antica cattedrale, si incontra l’ imponente edificio detto “La Casa del Sole”. Posto a sud ovest in incantevole posizione, quasi a balcone sulla baia di Cartaromana, raccoglie reperti archeologici di varie epoche, ritrovati nel corso di scavi effettuati in più riprese sul Castello. Più avanti troviamo il tempietto di San Pietro a Pantaniello che viene fatto risalire nel tempo del Vescovo Polverino, che fu vescovo ad Ischia nel 1564. Proseguendo verso il bar del Castello troviamo le prigioni, realizzate dai Borboni nel 1799, all’ epoca della restaurazione, per imprigionarvi gli oppositori politici. Più avanti troviamo “il terrazzo degli ulivi”.
Di forma trapezoidale, il terrazzo si trova in posizione incantevole, sotto le possenti mura del Maschio e a picco sul mare; da esso si gode uno spettacolo affascinante e coinvolgente, che spazia dai monti Lattari al Golfo di Gaeta. Più avanti vediamo la cappella anticamente chiamata Santa Maria La Punta, per la posizione in cui è allocata, e anche Santa Maria dell’ Ortofonico, corruzione dal latino “in orto Domini”, nell’“Orto del Signore”; evidentemente in qualche modo ricordava l’ orto dei Getsemani, in cui Gesù passò le ultime ore di vita. Ci incamminiamo quindi verso il sentiero che attraversa tutto l’itinerario di levante e ripercorre il tracciato dell’ antica strada medioevale, che si dipartiva dalla antica torre di avvistamento e di difesa sotto la Cappella di Santa Maria delle Grazie e, costeggiando le fortificazioni murarie, arrivava alla batteria di San Vincenzo, in prossimità dell’ ultima porta di accesso al Castello. Insieme con la strada che conduce al Maschio, il sentiero costituiva uno dei principali percorsi del Castello. E qui troviamo la attuale struttura della chiesa, risalente al 1301, della Madonna della Libera.
Dopo aver percorso il viale dell’ Aliantus, tra la ricca e rigogliosa vegetazione della macchia mediterranea, si giunge alla vestigia dell’ antico “Tempio del Sole” e al “Terrazzino del Tempio”.
Secondo lo storico Vincenzo Mirabella, nella zona si trovano i resti della chiesetta di San Biagio, che aveva ingresso di fronte alla cattedrale dell’ Assunta. Qualche nota su bastioni e postazioni. Un primo sistema difensivo del Castello non può non farsi risalire all’ epoca normanna e sveva, allorché la roccaforte iniziò ad assumere caratteri di città-fortezza. Certamente l’ incremento urbanistico e l’insediamento stabile delle autorità civili, militari e religiose verificatisi a seguito dell’ eruzione del monte Trippodi del 1301, comportarono l’ interesse della dinastia provenzale di Carlo II D’ Angiò per il potenziamento delle strutture difensive e di avvistamento, e della cinta muraria atta a proteggere la cittadella dagli attacchi provenienti dal mare. Troviamo poi il Borgo di San Nicola.
Stradine e gradoni s’ inerpicano tra gli edifici che mostrano il loro spiccato assetto di case agricole, con i forni per la panificazione e i cellai per la conservazione del vino e di altre derrate alimentari. L’ impianto strutturale è tipico delle zone mediterranee e ricorda da vicino altri insediamenti abitativi sull’ isola d’ Ischia o sulla penisola sorrentina.
Il borgo prende il nome dalla originaria denominazione della cappella della Madonna della Libera che precedentemente aveva ospitato la parrocchia di San Nicola. Il culto di San Nicola ad Ischia doveva essere antichissimo e molto diffuso, perché viene attestato sia dalla presenza dell’ omonimo eremo esistente in cima all’ Epomeo che dall’ affresco nella cripta della cattedrale sul Castello, nel quale il patrono di Bari viene rappresentato con le insegne vescovili, col volto sereno e rassicurante, mentre poggia la mano protettiva sulla testa di un fanciullo.
Solo pochi muri in piedi, qualche pilastro e un accenno di cupola: tutto quello che resta dell’ antica cattedrale; sufficiente, però, a testimoniare lo splendore del passato. Si accede alla costruzione vera e propria mediante una imponente scala a due rampe, esposta a sud per godere più s lungo dei raggi del sole. La cattedrale è a due piani: la chiesa e la cripta. Sul lato sinistro per chi entra si trovano la Torre Campanaria ( ora distrutta ) e il Palazzo Vescovile, prima che venisse trasferito alla frazione del Cilento e, successivamente, al Borgo di Celsa nel complesso monumentale del Seminario diocesano. Alla cripta si accede dopo aver disceso alcuni scalini. L’ ambiente è angusto e ispira pietà; qui si trovavano le tombe dei patrizi; qui i più insigni monumenti ricordavano il valore dei guerrieri e l’ abilità politica dei governatori. La maggior parte dei monumenti sono andati distrutti o dispersi.
In mirabile posizione fu edificato il convento delle clarisse, dette anche monache cappuccinelle, con annessa chiesa dedicata all’ Immacolata. L’ insieme costituisce il monumento meglio conservato sull’ antica città. A ragione del fatto che il convento fu adibito ad appartamento del capitano fino al secolo scorso e nel tempio si celebrarono i riti sacri anche quando l’ isolotto u definitivamente abbandonato dagli ultimi abitanti.
L’ edificazione del monastero femminile sul Castello avvenne per caso. Nella città-fortezza abitava la nobile Beatrice della Quadra, sposata con un non meglio identificato Marziale, dal quale ebbe un figlio a nome Giovanni. A poca distanza l’ uno dall’ altro, le morirono il marito e il figlio. Sposò in seconde nozze Muzio D’ Avalos, rimanendone vedova per la seconda volta.
Presa dallo scoramento, Beatrice reagì rifugiandosi nella vita religiosa. Seguita da 7 consorelle di sangue nobile, fondò un primo monastero di clausura sul Monte Epomeo, nell’ antico eremo di San Nicola: lo scopo era quello di spingere alla meditazione le giovani di nobile famiglia. Il rigore del clima invernale costrinse Beatrice e le consorelle ad abbandonare l’ Epomeo e a trasferire il convento sul Castello. Posto sulla parte più alta dell’ isolotto, il Maschio sfida i secoli con le torri e le possenti mura. L’ edificio, che con la cattedrale era il maggiore monumento dell’ antica città, fu costruito dagli Angioini e completamente rifatto da Alfonso I d’ Aragona, a cui deve il nome. E’ una costruzione solida a forma quadrangolare, con mura fornite di 4 torri; il piccolo rispecchia la struttura del Maschio Angioino di Piazza Municipio a Napoli. L’ interno comprendeva gli alloggi reali e quelli riservati ai cortigiani, alla truppa e ai servi; l’ appartamento nobile, quello occupato normalmente dal signore feudatario e nel quale veniva ospitato il re di passaggio per Ischia, si affaccia a strapiombo sul mare: dalle finestre del salone delle feste, il governatore militare spaziava con lo sguardo fino a Capo Misero e a Napoli.
Lasciata Ischia Ponte si può proseguire verso Cartaromana dove si può ammirare la torre Di Guevara, meglio conosciuta come Torre di Michelangelo. La torre a pianta quadrata, si divide in tre piani suddivisi a loro volta in 4 ambienti. Un affresco attribuito ad un allievo di Raffaello si conserva al primo piano ed è importantissimo – sotto l’ aspetto storico – in quanto ci illustra l’ architettura e l’ architettura del Castelloo e del Borgo nel XV secolo. Costruito dal nobile Giovanni di Guevara su un terreno preso in enfiteusi dai frati del convento francescano di Ischia, era originariamente una torre di avvistamento. La fantasia popolare vuole che, dalla Torre, Michelangelo Buonarroti intrattenesse una corrispondenza d’ amorosi sensi con Vittoria Colonna.
Proseguendo si arriva ai Pilastri, un antico acquedotto costruito da Orazio Tuttavilla alla fine del XVI secolo. L’ acquedotto aveva la funzione di portare l’ acqua dalla fonte di Buceto al Borgo di Celsa. Fu completato nel 1691.