Ischia, leggende dell'isola
Venere, che aveva sempre amato le isole, allorché Giove, nella Guerra dei Giganti, scagliò una montagna sicula contro Tifeo, seguì, con il veloce carro di Ares, il formidabile volo fino alla Caduta. Ed essendo questa avventura nel più bel golfo del mondo, non lungi dal Capo di Misero, intuì che da quella montagna e da mostro avrebbe avuto origine un’isola nuova, che nessun ’altra avrebbe potuto pareggiare in bellezza Ischia. E pensò di aggiungere quest’atra gemma alla corona delle sue terme. Quando infatti il Fuoco delle cento bocche (di Tifeo) ebbe formata l’impalcatura d’un mirabile sistema di colline intorno al monte centrale, elle, col potente suo fascino e con l’ausilio dell’amico Pito, la Dea della soave e lusinghevole persuasione, tanto fece che placò l’ira di quest’indomito, e non solo riuscì a convertirlo a Giove, ma lo rese così benigno e generoso, da chiedere ed ottenere, in attesa della definitiva riconciliazione, che, non sapendo fare bene agli Dei, ma bensì agli uomini, le sue commosse e calde lacrime volgessero sulla nuova terra in ruscelli ricchi della virtù senatrici inventate da Apollo. Indi la Dea, fatto tessere delle sue ancelle un gran velo d’argento, ne coperse l’orrida isola, trasformandola in verdeggiante giardino di pace e d’incanto. Da allora Tifeo, ogni tanto, abbandonandosi al suo istinto, scuote la terra.I Ceròpi, che infestavano le coste dell’isola d’Ischia e che vivevano predando gli ignari navigatori che toccavano Ischia, furono un giorno attaccati da nuovi invasori, che navigavano sotto l’insegna e la protezione di Giove. Con l’ausilio anche dei pacifici abitatori delle colline, i Cercopi furono sconfitti. E, mentre molti di essi furono massacrati, gli altri furono trasformati in branco delle più spregevoli bestie, quali sono le scimmie, da Giove, incitato da Nemesi insoddisfatti e bramosa di più durevole castigo. Da allora i naviganti, udendo le acutissime strida delle scimmie disseminate sulle coste dell’isola d’Ischia non abitata che da Pitechi, la chiamarono Pitecusa. Dal sangue dei Cercopi, a perenne memorie motrici, rosseggiano ancora, benché battute dal mare, le rupi della contrada, che tuttora il volgo chiama PIETRE ROSSE (ruba saxa e che trovasi nella spiaggia di Citara in Forio d’Ischia).